Cenni storici
Illorai
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Il Goceano
Cenni storici di Illorai
Illorai è uno dei più antichi centri del Goceano. Fu abitato in epoca preistorica, come dimostrano non solo i numerosi nuraghi (Luca, Su montrigu de Sa Corona) e i bronzetti rinvenuti nel territorio (come il bue conservato al Museo "G.A. Sanna" di Sassari), ma soprattutto la grande necropoli di Molia, scoperta negli anni settanta durante la costruzione della strada a scorrimento veloce Ottana-Cantoniera del Tirso: è un complesso di domus de zanas della "cultura di San Michele" (3000-2300 avanti Cristo), di cui finora sono state scavate e studiate nove tombe; una di esse, la tomba VII, è, insieme con la cosiddetta "tomba del Capo" di Sant'Andrea Priu presso Bonorva, la più grande e interessante costruzione ipogeica della Sardegna: con le sue 16 stanze, essa disegna un'architettura di grande monumentalità e di raffinata suggestione.
Anche se non può essere identificato con il centro romano di Lesa (per quanto anche nel territorio di Illorai, in località Sos Banzos, vi siano acque termali come quelle che si trovavano alle Aquae Lesitanae d'età romana), Illorai fu certo importante nel Medioevo, grazie anche alla sua amenissima posizione geografica. Il suo territorio, molto fertile (sono famosi i suoi orti), è attraversato dal Tirso, che qui è scavalcato da un audace ponte ad una sola arcata, d'età pisana.
Nel centro esisteva anche un convento di Agostiniani, che fu chiuso quando anche il paese dovette subire la decadenza che tutti questi centri attraversarono soprattutto in età spagnola: la statua di Sant'Agostino e quella di San Nicolò da Tolentino, anche lui agostiniano, sono conservate nella parrocchiale, dedicata a San Gavino, insieme con preziosi oggetti di argenteria appartenenti al convento.
Nella campagna esistono numerose altre chiese, la più importante delle quali è il santuario dedicato alla Madonna della Neve, dove ancora si celebra, il giorno dopo Pentecoste e il 5 agosto, una delle "feste lunghe" di Sardegna, cioè una grande festa preceduta e preparata da fedeli che si recano nella chiesa a nuinare, cioè a praticarvi la "novena" (che in questo caso non di nove, ma di quindici giorni).
Illorai aveva nel passato anche un'interessante varietà di cave, da cui si ricavavano marmi, zolfo e gesso: ma oggi sono tutte abbandonate.
Ad Illorai nacque mons. Damiano Filia (1878-1956), considerato uno dei maggiori studiosi di storia della Chiesa sarda.
NOTIZIOLE
STORICHE NOSTRANE
Illorai era abitato in
epoca nuragica (‘) come tutti i paesi del Goceano, eccetto Burgos, secondo
quanto sostiene Teresa Piccioli e più nel «Luoghi
Storici d’Italia».
Fin da epoche
remotissime degli insediamenti umani si trovavano a valle e nelle pianure e in
tempi diversi e per mille vicissitudini (guerre, malaria, persecuzioni
fiscali, ecc.) dovettero convergere ad ingrossare o a favorirne la sopravvivenza
negli attuali paesi addossati alla Catena del Goceano.
Il territorio d’Illorai
conta parecchi centri abitati scomparsi in epoche più o meno remote, tra i
quali i più importanti sono: Molia, di epoca prenuragica, come può comprovare
la vastissima necropoli, recentemente scoperta; Sas Arulas; Sa Mandra ‘e Santu
Ainzu; Sa Mandra ‘e Sa Preda dove, si dice, esisteva un Santuario ipogeico con
14 gradini nella scala e in tempi non molto lontani un agglomerato urbano di 18
mila anime (la cifra sembra esagerata per quei tempi); Santu Zipirianu dove gli
anziani notarono i ruderi della Chiesa; Bortiocoro, ai confini di Esporlatu,
scomparso negli ultimi anni del 1700.
Le ricerche sul campo, e
nemmeno molto accurate, riscontrerebbero facilmente elementi archeologici
comprovanti la presenza umana nelle zone citate in epoche diverse.
Dal punto di vista
linguistico, secondo gli accoppiamenti dei monosillabi accadico-sumerici, da cui
la lingua nuragica e prenuragica deriva, secondo la teoria di Raffaele Sardella,
librai significherebbe arco alto (alto =
divino,
sembra). Sardella (2)
spiega
altri nomi
locali che risalgono ad epoca nuragica: Urbara =
Ur
(cane) bara (selvatico), oppure: Ur (servo) Bara (Dio) Re Servo del Dio Bara.
Jscuvudè troneggiante alto sta. Altre parole sumeriche potrebbero essere: Boto
Utu (Dio); Turku = Turchi recinto sacro; Lukas =
messaggero,
corriere.
Sardella indica come nuragici, derivanti dal
numerico, altri nomi di paesi del Goceano, come Bottida =
BU
—
intercessione
+ Zid (fedele) intercessione fedele, intercessione Santa, Giusta (1), Bono BUUM Vescica per suonare
Vescica di pelle. Bunu. L’aspetto, la faccia. Bunu Figlio.
Una delle date più antiche su Illorai (illorthai)
viene documentata da Pietro Sella nel suo libro sulle decime, Edizione Vaticana,
dove si legge che il nostro paese versava alla Curatoria di Bortiocoro,
quand’era Conte del Goceano Mariano IV, nel 1341, cinque lire alfonsine
(monete d’argento coniate da Alfonso i di Napoli). Ai tempi era una somma
cospicua che poneva Illorai ai primi posti tra i contribuenti borghi del
Goceano. Rimase al primo posto per tanto tempo anche come popolazione e anche il
censimento del 1607 dava illorai con 410 «fuochi» (nuclei familiari) superiore
anche a Bono di 4 «fuochi».
Facendo passi indietro nel tempo, riprendiamo da
quando il Giudicato di Torres assunse la struttura amministrativa di
Principato,cioè la carica di Giudice diventò ereditaria, sembra, con Andrea
Tanca Giudice.
(1)
Piccioli, Luoghi Storici d’Italia, pagina 749, Ed Arnaldo Mondadori,
1972.
(2)
Raffaele Sardella, Il sistema linguistico della Civiltà nuragica,
(dizionario etimologico della lingua nuragica), Tipografia F.lli Ghiani - Isili
-
1981.
(1)
Frequentemente
siamo portati a cercare le spiegazioni della toponomastica in nomi che tacciamo
rimontare alla preistoria: nomi di origine nuragica e prenuragica! Scienziati
e dotti, o chi passa per tale, sono pronti a trovare la
spiegazione di certi nomi così di primo acchito e trovo le spiegazioni le più
azzardate.
Nel caso del nome di Bottidda è inutile
arrampicarsi sugli specchi! Oggi questo nome per mèrito dell’Anas viene
modernizzato in Bòttida (una d), mentre i timbripostali e coi~unali usano due
d.
Fino al 1800 si scriveva Boùdda (una t e
pronunzia sdrucciola) mentre nel Medio Evo si diceva GOCILLE e come tale si
trova in carte geografiche antichissime e anche nell’elenco dei paesi presenti
al trattato di Pace tra Eleonora e don Giovanni d’Aragona. Nei secoli
seguenti fu soggetto a trasformazioni come tutti i nomi dei nostri paesi:Gocìlle Gotìlle —
Botìlle Botìdda Bòttidda
(Domenichino
Ena - Adiu Bono, l3otBdda e I3olia -
pag.
22-23 - voce del Logudoro -Ozieri
1979).
Per ragioni di difesa la
sede giudicale venne trasferita da Porto Torres ad Ardara dove dominarono per
circa un secolo di splendore figure di spicco come Mariano, la Principessa
Giorgia, famosa per le sue doti di Amazzone in guerra e in particolare per aver
personalmente mosso guerra al Giudice Boldo di Gallura e per averlo catturato
e portato prigioniero alla Sua reggia. Risalgono a questo secolo d’oro le
costruzioni di numerosissime chiese tra le quali Santa Maria ‘e Rennu ad
Ardara, la Chiesa della Santa Trinità di Saccargia, ecc. 11 Castello di Ardara
dello stesso periodo era uno dei più importanti dell’isola.
Tra i Giudici più
famosi si deve annoverare Costantino di Lacon Sogostos, figlio di Mariano e
padre di Gonario, detto il Santo.
Gonario Il di Torres
ereditò il Giudicato e potenti nemici tra i quali i più pericolosi erano
quelli della famiglia majorale degli Athen di Pozzomaggiore. Gonario prima del
1127 progettò di costruire un'altra dimora giudicale particolarmente
fortificata poichè evidentemente non si sentiva più sicuro nella splendida
dimora di Ardara. Puntò le sue attenzioni sulla vetta del Monte Sa Pattada che
sovrasta Illorai, distante dal paese in linea d’aria, circa 500 metri, per la
costruzione della sua nuova fortezza. Aveva già avviato i lavori sulla cima di
roccia viva per una costruzione rettangolare di dimensioni 70/40 metri circa.
Tuttora vi si possono osservare le solide fondazioni con muti spessi oltre un
metro abbondante e in alcuni punti già elevati per un paio di metri. Ci dev’essere
stato un improvviso ripensamento, si dice, perché la cima di Sa Pattada era
visibile dal mare di Cabras, e si scelse definitivamente il colle attiguo ad
Esporlatu per l’erezione della nota Rocca del Goceano, difesa naturalmente più
o meno da tutte le parti.
Sulla data di costruzione della Rocca del
Goceano ci sono molte discordanze: per Murineddu è quella del 1127-29 (¼;
per
Piccioli quella del 1150 (2); per Lugani quella del 1134 (3))
Su Gonario di Torres
sorgono altri contrasti riguardanti i primi anni di vita. Tutti concordano
sull’anno di nascita 1110. Alcuni lo vedono tredicenne donatore di 4 Chiese
fra qui quella di San Pietro in Nurchi e prima ancora gli attribuiscono altre
donazioni religiose secondo alcuni documenti citati di sfuggita dal Manno. Altri
lo vedono esule a Pisa per salvarsi dai suoi nemici per le precauzioni prese
dal suo tutore Itocor Gambella e solo all’età di 17 anni ritornò, sposo
felice di Maria Ebriaci appartenente alla famiglia Pisana ospitante, sempre
diciasettenne costruì la Rocca del Goceano e vi attirò i suoi nemici Athen e
li fece massacrare nei dintorni. Conquistò o riconquistò il Giudicato con la
violenza.
Ora vengono spontanee
certe considerazioni, o si mettono in dubbio le sue opere o altri costruì e donò
per lui. Della Marmora dice che il potentissimo padre Costantino morì nel 1127,
ma allora che senso avrebbe il suo rifugio pisano e la sua tutela dell’amico
Itocor Gambella?
Fatto sta che Gonario
di Torres guardò con estremo interesse le nostre contrade e il suo arrivo, come
quella di qualsiasi autorità, avrà creato una certa rivoluzione in molti
settori, economico, militare, morale, ecc. Infatti avrà reclutato milizie per
difendere la nuova fortezza e consolidare i suoi domini. Continuò a costruire
Chiese, fra cui quella di Gonare, e profondere donazioni religiose. Avrà
declassato le autorità locali e per la stessa costruzione della fortezza avrà
reclutato la mano d’opera secondo l’uso dei tempi col sistema schiavistico.
(1) Antonio
Murineddu, GOCEANO,
(2)
Piccioli,
Luoghi storici d’Italia,
(3)
Lugani,
Meravigliosa Italia - Sardegna.
Dopo aver racimolato tanta gloria come Giudice e
dopo tanto spendere e spandere, ebbe una crisi religiosa e decise di entrare nel
Convento di Chiaravalle dove ruminò i suoi ultimi giorni di vita. Alcuni
affermano che la religione fosse una naturale inclinazione, mentre Carta Raspi
parla di un documento che lo indicherebbe come «eretico e perverso»
Anche la madre Marcusa de Gunale fece le valigie,
e partì per costruire un ospedale a Messina, dove credette di attenuare la sua
galoppante senilità.
Illorai, come tutti i paesi del Goceano, rimase
legato per secoli alla storia del Castello di cui è indispensabile seguire le
vicende più salienti.
Illorai forse aveva qualche vantaggio rispetto
agli altri paesi della zona dato che si trovava riparato tra montagne e
colline e quindi poco in vista e fuori dalle principali rotte degli eserciti che
mulivano attorno al Castello anche se era poco distante e dentro il raggio della
sua influenza.
I paesi del Goceano avranno continuato a
sacrificarsi per i loro Giudici che erano continuamente in guerra. Barisone,
figlio e successore di Gonario trovò, pare, la pace all’interno dei suoi
domini, ma dovette ugualmente prendere le armi in difesa del fratello Pietro,
Giudice di Cagliari, che venne assalito dal Giudice Ugone di Arborea. Venne la
volta di Costantino, figlio e successore di Barisone, che dovette lottare
strenuamente contro Guglielmo di Massa Giudice di Cagliari, che riuscì per
primo ad espugnare il Castello e a fare prigioniera Prunisinda, moglie del
primo, e portarla a Cagliari dove morì. Costantino tramite trattative riuscì a
riottenere il Castello, ma non la moglie, già morta per l’umiliazione e le
sofferenze subite.
(1)carta
Raspi, Storia della Sardegna,
pag. 427.
Seguirono nel Giudicato di Torres, Comita,
fratello del precedente; Mariano, l’ultimo vero Giudice di fatto, dato che i
figli Barisone venne assassinato tredicenne nei pressi di Sassari e la famosa
Adelasia venne condizionata dai mariti e consiglieri durante il governo del
Giudicato. Lei sposò in prime nozze Ubaldo Visconti, Giudice di Gallura, che si
dimostrò quasi estraneo agli interessi della zona se non per ragioni fiscali,
poi sposò Enzo, figlio dell’Imperatore Federico Il di Svezia, che ritenendo
l’ambiente troppo angusto, ritorno subito in terraferma abbandonando moglie e
Giudicato e finendo più tardi prigioniero dei Bolognesi.
Adelasia, donna di rarissima bellezza, abitò per
quasi tutta la vita nella Rocca del Goceano dove negli ultimi anni si richiuse
in volontario isolamento, lasciando le redini del potere al losco consigliere
Michele Zanche. Secondo alcuni morì nel 1255 e secondo altri nel 1259. Qualche
fonte c’informa che venne sepolta ai piedi dell’altare maggiore di Santa
Maria de Rennu di Ardara (1)•
Alcuni fanno terminare il Giudicato di Torres con
la morte di Adelasia, altri lo fanno durare sino alla morte di Michele Zanche,
assassinato a Sassari con la complicità del genero Branca Doria, nel 1275. Il
Giudicato e quindi il Goceano passò allo sfruttamento dei Doria. La nostra
contrada si risollevò e riprese a prosperare sotto la saggia amministrazione di
Mariano IV, nominato Signore del Goceano dal padre. Tentò subito di frenarne lo
spopolamento. Concesse terre ai contadini, esenzioni da tributi, salvacondotti e
così via in modo che affluissero uomini validi anche da altre Signorie.
Con diploma del 1339 gli Aragonesi crearono
Mariano IV Conte del Goceano, che in effetti come Signore amministrava già e
possedeva, per meriti militari del padre Ugone. Gli Aragonesi vendevano e
concedevano numerosi feudi, di cui in effetti non potevano disporre, con lo
scopo di creare dissidi interni nei Giudicati sardi. Mariano, che soggiornò con
gli occhi ben aperti alla Corte Aragonese, deluse i disegni politici torbidi
degli Spagnoli. Governò in piena armonia col fratello Pietro, Giudice di
Arborea, e succedutogli nel Giudicato il 1547, nella sua lungimiranza, salvava
appena le apparenze con gli Aragonesi, salvando parte delle milizie degli stessi
Aragonesi, cadute nell’imboscata di «Aidu ‘e Turdu», e portando
mortalmente ferito Guglielmo de Cervellon al Castello dove venne sepolto.
Mariano non tardò a dimostrare il suo vero volto,
rinchiuse nel Castello il fratello Giovanni che ostentò troppa solidarietà
agli Spagnoli, invase la Gallura nel 1553 e da allora ammise l’aperta ostilità
agli Aragonesi.
Promulgò molte leggi in favore del Goceano fra
cui quella importantissima Carta del Goceano che prevedeva una lunga serie di
esenzioni da tasse, franchigie, incoraggiamenti per chi voleva allevare
bestiame, impiantare vigne, coltivare gli orti e salvacondotti che portarono fra
l’altro alla fondazione di Burgos. La Carta del Goceano, pubblicata da Foiso
Fois, fu una lungimirante innovazione di tipo moderno da cui trassero vantaggi
enormi, anche in diverse misure, tutti i paesi della zona.
Ugone prima ed Eleonora poi seguirono la politica
del padre Manano nei confronti del Goceano. Eleonora convocò persino una
riunione di Curatoria nel 1388 per corresponsabilizzare, tutta la Sardegna e
quindi anche il Goceano nella ratifica del trattato di pace preparato da Pietro
d’Aragona e conclusa con Don Giovanni. Bortiocoro era ancora sede di Curatoria,
ma la riunione presieduta da Alasio col Segretario Parason Corda si è tenuta ad
Anela.
Con
la ripresa delle ostilità, gli Aragonesi offrirono varie volte
(1)Nessuno ha messo in dubbio che Adeiasia sia
morta nel Castello di Gocille dove era prigioniera di Michele Zanche.
Si è detto però che nottetempo sia stata
trasportata ad Ardara per essere tumulata nella basilica di 8. M. del Regno.
Altri
sostengono che sia stata tumulata nella chiesa di 5. Gavino di Esporlatu, tanto
cara ai Signori del Castello; osservazione confermata da reperti validi in
occasione della costruzione della sagrestia in 5.
Gavino di Esporlatu. (Domenichino Ena) O.C.
Il Castello di Burgos a numerosi loro alleati, tra
i quali il rinnegato Valore- Deligia, che non presero mai effettivo possesso nè
della Rocca nè del Goceano.
La «Carta de Logu» del 1395 (la data più
probabile), condizionava i privilegi degli abitanti di Burgos.
Dopo la morte di Eleonora d’Arborea 1404 il
Castello perse la sua importanza e divenne ben presto covo di banditi.
Nel 1420 il Marchese di Oristano, Leonardo Cubello,
assediò nel Castello il bandito Bartolo Mannu, che venne ucciso dai suoi uomini,
che con le comode motivazioni di essere un ribelle agli Aragonesi depredava la
zona per circa un decennio.
Verso il 1476 Leonardo Alagon richiuse nel
Castello la figlia Eleonora che era innamorata del figlio del suo acerrimo
nemico il Vicerè Carroz.
Negli ultimi sussulti d’indipendenza sarda, dopo
la sconfitta di Macomer, del Castello Ardara, di Mores nel 1479 i due figli di
Leonardo Alagon cercarono ultimo rifugio nella Rocca del Goceano (1)
da
dove vennero snidati da Angelo Marongiu (2)• Non
si sa bene con quale spirito le popolazioni della zona, deluse, abbiano
partecipato a questi avvenimenti. Alcuni scrittori parlano di saccheggi di Marongiu
(3)~
Gli spagnoli nel 1497 convocarono per le
popolazioni del Goceano una riunione di Parlamento a cui i Goceanini non
parteciparono per protesta.
Gli Spagnoli nel 1605 inviarono nel Goceano un
contingente di soldati per debellare il banditismo dilagante e nel 1642
freddarono ai piedi del Castello il bandito Manunzio Fiore.
Dal censimento del 1607 si deduce che Bono era
ancora un modesto borgo inferiore ad Illorai di 4 «fuochi» (nuclei
familiari).
Ad Illorai troviamo i nobili Francesco Nurchis
Cedrelles e Francesca Andreana Corona, coniugi, che nel 1624 offrirono al
Provinciale degli Agostiniani di Cagliari la Chiesetta di Nostra Signora
d’Itria e i locali accanto, che avrebbero ampliato a proprie spese, la somma
di L. 55, «due tanche ed un chiuso», l’usufrutto di un gregge di ovini ed un
nutrito branco di bovini affinché i frati Agostiniani vi fondassero un
Convento; avrebbero fornito inoltre tutto l’arredamento. Il Convento divenne
in breve uno dei più importanti, grazie anche al paese fiorente.
Ad Illorai troviamo anche i Conti molto potenti.
Borticoro era ormai in netto declino quando la
Sardegna passo nel 1720 ai Savoia che per clausole internazionali, fatte
inserire dai rappresentanti austriaci nel Patto di Londra, dovevano conservare
le strutture amministrative degli Spagnoli.
Per tali clausole la lingua spagnola resistette in
Sardegna per piu di 40 anni e il feudalesimo sino al 1839 quando Carlo Alberto
lottò per l’abolizione.
Ma il Goceano per certi versi ebbe una condizione
di privilegio rispetto alle altre contrade dell’Isola, nonostante nel 1746
durante una ricognizione nell’Isola non venisse preso in considerazione.
Dopo la visita a Bono del Vicerè Des Hayes venne
riservata al Goceano un’attenzione particolare, prendendo per i problemi più
importanti provvedimenti legislativi nel 1782 e nel 1806 che riguardavano le
proprietà terriere e l’agricoltura e che precorrevano le leggi delle
Chiudende.
I
Savoia, nonostante tutto, promossero dei benefici agro pastorali e tentarono di
frenarne gli abusi per cui all’Archivio di Stato di Cagliari si trova un lungo
elenco di incriminati della zona.
A
Bono venne istituita la Prefettura e fu aperta qualche scuola di Istruzione
superiore.
Il titolo di Conte del Goceano, dato a Mariano IV
d’Arborea nel 1339, ambitissimo da Giudici e Re, perdura ancora nelle mani di
Vittorio Emanuele IV di Savoia.
Il nome Goceano spaventava, affascinava, creava un
clima rivenziale per tanti secoli.
Dal Goceano partirono in varie epoche le fiamme di
ribellione contro gli oppressori.
Per tutto ciò il Goceano non venne infeudato a
nessun nobile e rimase sotto l’amministrazione diretta dei vari Governi.
In pratica il Goceano non conobbe il feudalesimo
se si esclude la saggia Signoria e il periodo di saggia Contea di Mariano IV
d’Arborea.
(1) Teresa Piccioli e più - Opera cit. pag. 7136
(2) Le versioni più credibili indicano i figli di
Leonardo Alagon inseguiti dal Pujades e da Angelo Marongiu ad Ardara, a Mores e
al castello del Goceano, prima della battaglia di Macomer (1478). condivisero la
sorte del padre nella prigione di lati-va (Spagna).
(3)
Domcnichino Ena
Tratto da La Voce del Logudoro n. 47 del 3 dicembre 1969
(Curiosando nel passato)
Il Convento Agostiniano ad Illorai
Frati Contro banditi (1624-1765)
Il primo Convento di Agostiniani o, come venivano chiamati, Romitani di S. Agostino, fu fondato in Sardegna nel 1421 a Cagliari da un religioso chiamato Agostino Carbonell. Al 1649 si contavano nell’isola dieci Conventi ed un collegio di tale regola. L’elenco ufficiale di essi, pubblicato in un libro edito a Roma nel 1649, comprendeva anche il Convento “Illorayanus” .
Nel 1624 i coniugi Francesco Nurchis Cedrelles (probabilmente della nobile famiglia dei Cedrelles feudatari di Usini) e Francesca Andreana Corona Nurchis, non sappiamo per quale voto fatto, offrivano al provinciale degli Agostiniani a Cagliari la chiesa di Nostra Signora d’Itria, situata in un terreno di proprietà, presso Illorai, accanto alla quale avevano costruito dei locali con la promessa di ampliarli qualora fossero venuti a stabilirvi i Frati Agostiniani per fondarvi un Convento. Come capitale fruttifero offrivano due tanche ed un chiuso più piccolo, nonché l’usufrutto di un gregge di pecore e di una mandria di vacche, oltre alla corresponsione della somma annua di 55 lire (ricordiamo che allora con 5 o 6 lire si comprava una vacca), ed infine tutto l’arredamento necessario alla Chiesa e al Convento.
Il provinciale dell’Ordine accoglieva l’offerta generosa, e subito dopo veniva stipulato il relativo atto notarile di fondazione del Convento, in data 8 settembre 1624 (giorno della festa della natività di Maria). A tale fondazione davano il loro consenso il Vescovo di Alghero Ambrogio Machin, divenuto in seguito arcivescovo di Cagliari, e l’arciprete Carcassona, del Capitolo di Alghero, nella sua qualità di prebendato delle parrocchie unite di Illorai e Bortiocoro. Il Convento prendeva il nome, dalla chiesa annessa, di nostra Signora d’Itria in Illorai nella regione che allora si chiamava “Botto”.
Il piccolo Convento era stato iniziato con le migliori intenzioni, ma non fu l’unica volta che, in casi simili la realtà non corrisponde alle promesse.
Le due tanche ed il chiuso, infatti non vennero mai consegnati ai Frati, ne tanto meno i fondatori ampliarono l’edificio come promesso, per cui i Frati, col passare degli anni, dovettero costruirsi qualcosa a loro spese. Finché vissero i coniugi fondatori, il Convento ricevette i frutti del bestiame loro lasciato: in seguito non ebbero neppure quello.
Altrettanto capitò per le 55 lire cui si erano impegnati i fondatori.
Ai primi del settecento si svolse una lunghissima lite fra gli Agostiniani di nostra Signora di Itria e l’erede dei fondatori, Don Antonio Ledda Conte di Bonorva e Barone di Ittiri e Uri proprio per tale questione. Dopo vari anni, i Frati dovettero desistere dalla causa, sia perché il Convento per la sua estrema povertà non poteva più sostenere le ingenti spese di tribunale, sia perché nulla si poteva fare, come dicevano, contro un avversario “tanto poderoso”. Non solo quindi il Ledda vinse la causa, ma per vie di certe clausole contenute in una bolla di Innocenzo X del 1652, vari anni dopo quando si dovette chiudere il Convento per altre cause, si dovettero dare al Conte di Bonorva, come erede dei fondatori, un bel calice d’argento, varie suppellettili ecclesiastiche e perfino le campane della Chiesetta.
Alla metà del Settecento oltre un secolo dalla fondazione, la situazione del convento non era certo delle più floride. Ci dice l’Angius che sia nel Settecento sia ancora agli inizi dell’Ottocento, il vicino castello di Burgos, dalle tante memorie, era diventato un nido di malfattori, e “vi aveva quartiere una grossa masnada di banditi e disertori, donne uscivano a predare e fare stragi”. Continuava, cioè, sia pure sotto altre forme, la situazione che si era creata nel Quattrocento, ai tempi del famoso fuoruscito Bartolo Mannu, che però alla sua attività banditesca aveva dato qualche colorazione politica. Da una relazione contemporanea, e precisamente del 1765, ci risulta che i Frati, benché da molti anni fossero rimasti appena in due, non riuscivano se non a mala pena a ricavare di che vivere da ben 39 (dico trentanove) piccoli appezzamenti di terreno di proprietà del Convento. Vista infatti la cattiva volontà dei fondatori, la popolazione era venuta generosamente incontro, con varie donazioni di beni immobili. Ma la ragione del mancato frutto di tali terreni non dipendeva certo dalla sterilità di essi, ma dal fatto che non si era mai riusciti a tenerli a pascolo, perché il bestiame veniva sistematicamente rubato, e il frutto delle varie coltivazioni, con altrettante irregolarità, asportato anche con la forza dai fuorilegge.
Non solo, ma altri fatti anche più gravi mettevano a disagio anche gli abitatori del Conventino. Aveva allora tutto il suo pieno vigore il diritto di asilo, per cui il malfattore inseguito dai ministri di giustizia poteva impunemente riffuggiarsi in chiesa o in un altro luogo sacro o edificio ecclesiastico e rimanervi quanto voleva con tutta tranquillità. E il Convento di Nostra Signora di Itria era proprio il luogo ideale.
Dopo le prime volte i Frati, stanchi di una siffatta compagnia, tentarono di resistere barricandosi in casa, ma si sentirono rivolgere l’invito a raccomandarsi l’anima a Dio: e di fronte ad argomento si perentorio dovettero cedere, dato che a resistere non si poteva neppure pensare, poiché nel Convento non si trovavano altri che un vecchio sacerdote, Fra Sebastiano Cubeddu, ed un Frate laico.
Si arrivò a tal punto che per i Frati il ricevere banditi da proteggere contro voglia divenne questione di ordinaria amministrazione.
Le autorità civili, stanche di un simile stato di cose, rivolgevano alle autorità religiose inviti sempre più pressanti perché più efficacemente si opponessero a tali abusi. Proprio per quegli anni abbiamo delle testimonianze che ci fanno rimanere perplessi. Perfino in pieno centro abitato, nella stessa Ozieri per ospitare persone di riguardo perseguitate dalla giustizia molte volte si erano fatti sloggiare i Frati dalle loro celle del Convento di San Francesco, per ospitare i ricercati. E come per il Convento dei Francescani di Ozieri, così anche per quello degli Agostiniani di Illorai dovette direttamente intervenire il viceré di Sardegna rivolgendo vivissime istanze al provinciale dell’Ordine a Cagliari, Fra Nicola Lippi, perché si cercasse di mettervi un qualche riparo, non esclusa la soppressione del Convento, se altro rimedio non ci poteva essere.
Il provinciale, nell’aprile del 1765, radunava a Cagliari il Consiglio (o Capitolo) Provinciale dell’Ordine, il quale ad unanimità ammetteva che realmente altra soluzione non vi poteva essere che quella definitiva di chiudere e sopprimere il Convento. D’altra parte i superiori religiosi non sapevano più che strada prendere dato che i religiosi destinati ad Illorai, anche se di ribellione non si può parlare, facevano di tutto per eludere una tale destinazione, pera cui “non si trovano più soggetti che ci vogliono andare, perché nessuno desidera morire di fame o essere soggetto a perdere la vita” per opera dei malfattori, come scriveva il Provinciale da Cagliari al superiore Generale dell’Ordine P. Saverio Vasquez, supplicandolo di accettare la decisione di sopprimere il Convento.
L’accettazione di tale decisione veniva comunicata dal Generale dell’Ordine in data 31/10/1765 al Vescovo di Alghero, il quale disponeva l’esecuzione delle formalità per la soppressione ufficiale del Convento, vittima diretta dei fuorilegge. Tale atto veniva compiuto l’8/3/1766, con la consegna al vescovo di Alghero di tutta l’amministrazione del Convento soppresso. Se molti beni andavano, per legge, agli eredi dei fondatori, tutto il resto veniva dall’Ordine degli Agostiniani lasciato a disposizione dello stesso Vescovo purché fosse distribuito in opere di beneficenza.
Il piccolo Convento degli Agostiniani di Illorai moriva così, allo stesso modo con cui era nato: come una testimonianza dello spirito di carità Cristiana.
Il monastero sorgeva nel centro di Illorai. Quando venne chiuso la statua di Sant'Agostino e quella di San Nicolò da Tolentino, anche lui agostiniano, vennero trasferite.nella chiesa parrocchiale, dedicata a San Gavino, insieme con preziosi oggetti di argenteria appartenenti al convento.
TEMPI
DIFFICILI E
GIOVANNI COSTANTINO: CORDA-LOSTIA
Giovanni Costantino Corda-Lostia nacque ad
Illorai da famiglia nobile, madre di Orotelli e padre d'Illorai, si laureò in
leggi e divenne notaio.
Assistette, direttamente o indirettamente, ad
eventi locali di eccezionale portata storica in tempi difficili.
Ai suoi tempi scomparvero da Illorai i Frati
Agostiniani dopo che il "Graneri, alto commissario di fatto degli ordini
religiosi in Sardegna, inviò a Torino nel 1772 le sue indagini" e suggerì
l'abolizione del Convento poiché "nelle celle sbrecciate dai fulmini
s'aggirava (solo) qualche romita laico" (Mons. D. Filia, Sardegna Cristiana,
pag. 147). La Chiesa di Sant'Agostino o di N. 5. d'Itria venne sconsacrata nel
1785, ma di fatto da tanto tempo non rispondeva più alle esigenze religiose e
il relativo Convento ospitava qualche frate in balia di banditi che abusavano
dell'incolumità di luoghi sacri.
I beni del Convento andarono ad impinguare le
cospicue proprietà dei Conti locali che vinsero una causa intentata contro gli
Agostiniani, sembra, impugnando l'atto di donazione del lontano 1624 redatto dai
coniugi Nurchis-Corona.
Giovanni Costantino Corda-Lostia assistette al
tramonto definitivo della potenza e della prepotenza dei Conti locali decimati
con la strage denominata s'ira 'e su Polatu Mannu quando ne uccisero 17,
avvenuta circa due secoli fa. G.C. Corda- Lostia ne ereditò gli averi.
Assistette pure alla scomparsa di Bortiocoro.
Nel 1793 alcuni Goceanini accorsero a Cagliari
per respingere il tentativo d'invadere la Sardegna intentato dall'Ammiraglio
Trou('o
guet
per conto della Rivoluzione Francese. Vi parteciparono i cavalieri e volontari
influenzati da Giovanni Maria Angioy: Taddeo Arras Minutili, zio dell'Angioy, il
fratello di questi Costantino Angioy Arras, Avv. Nicolò Angioy Arras, D.
Andrea Mulas Gaias,
D.
Felice Mulas Gaias, D. Giannantofliò Arras Mnlas, D. Tommaso De Martis Ledà, D.
Pietro Gaias Mulas, D. Antonio Michele Fois Gaias, D. Pietro Gaias Latte, D.
Vinc. Gaias Mulas, D. Seba~tiano Marcello Delitala, D. Giommaria Raimondo
Angipy, D. Pietro Carta Gaias, D. Eusebio Sotgiu Minutili, D. Giovanni Maria
Angioy Guiso, tutti di Bono. Inoltre i fratelli Bartolomeo e Antonio Musio di
Orune3 il notaro Vincenzo Mameli Campus, capitano di cavalleria di Bono; gli
ufficiali di giustizia di Benetutti, Illorai, Orune, Fedele Mulas3 Giov. Antioco
Pitzolu e Giommaria Pala, l'aiutante di Qampo Salvatore Muroni e il Chirurgo. di
Bono Giov~ Demontis. Arch. Stato Torino, carte relative ai dispacci, 1793. (Mons.
D. Filia, Sardegna Cristiana, pag. 219).
Nel 1796 si acuiron6 le sommosse antifeudali, ne
scaturirono i moti Angioyni e le relative repressioni solo nei riguardi di Bon6
poichè agli altri paesi del Goceano vennero accettate le giustificazioni
tendenti a dimostrare che, seguendo l'Angioy, investitò dei poteri di Alternos
(Viceré del Viceré), si credevano in piena fedeltà al Governo.
Da molto tempo in Sardegna si seguiva in modo
nefasto il Romano "divide et impera"; ma il Governo Sabaudo esasperò questo
principio, non sempre per fini morali, e il Viceré Vivalda, 1794, auspicò che i
Sardi "si curassero tra loro" (I)
Lo stesso Vivalda infatti si rifiutò
di prendere in consegna i due alti funzionari regi in mano alla folla
inferocita, la Planargia e Pitzolo che di. conseguenza vennero massacrati dalla
folla stessa. Dello stesso "divide et impera rimase vittima anche l'Angioy che
si vide contro quasi tutti gli ex amici, cosiddetti illustri, di Cagliari.
(1) Amadu Diaz, - Un capo carismatico - Giov.
Maria Angioy.
Aggravò ancora la situazione la grossa
disgrazia, economica e morale? dell'arrivo forzato in Sardegna del Re Carlo
Emanuele IV che moltiplicò fra l'altro gli appannaggi in favore di se stesso,
dei fratelli e parenti.
Il Conte di Moriana ne 1800 incaricò il Grandona
di reprimere la ribellione antifeudale di Thiesi. Il Grandona reclutò uomini
dappertutto, anche dal Marghine, e persino banditi cui "si prometteva
amnistie". (Carta Raspi, Storia della Sardegna, pag. 841). il Grandona partecipò
anche a]la reazione contro Bono e a Thiesi rimase persino ferito. Ma reclutare
milizie, volontari e banditi in tanti paesi significava seminare discordie,
dividere gli animi, opprimere, umiliare, mancanza di rispetto per il dialogo e
per i valori umani e. procacciare némici ai miseri paesi costretti alla
ribellione.
Lo sfruttamento era all'orlo dell'esasperazione
- Carlo Felice esigeva anche le 60 mila lire di donativo, già assegnate al
fratello morto, il Conte di Moriana.
I corpi di p4lizia nascevano, e scomparivano,
come funghi. Durante il Regno di Sardegna erano in numero di 28, senza contare
le milizie feudali, compagnie barracellari e milizie private. Spesso erano in
contrasto fra loro, ciò aumentava la confusione e il disordine. .
I pregoni prevedevano, fra l'altro, il
salvacondotto ai banditi che s'impegnavano a combattere un'altra banda e
addirittura la libertà ad un condannato a morte che riusciva ad uccidere o
catturare un condannato alla stessa pena. La libertà era assicurata a chiunque
riuscisse a catturare un condannato alla stessa pena o a pene superiori.
Col salvacondotto i cosiddetti "cacciatori di
taglie" avevano la possibilità di manovra anche per commettere altri delitti.
Nel 1770 venne conferito il salvacondotto al
"discolo" .Passu che capeggiava una banda di '53 uomini e che col pretesto di
catturare non so quali banditi si trasferì a Bultei e vi commise molti
delitti. Durante tale criminosa incursione venne ucciso il "cacaatore' di
taglie Pedecanna, della banda Passu, peraltro privo di salva-condotto. Il
cadavere di Pedecanna, insepolto da 15 giorni, venne trovato così dal Viceré Des
Hayes in visita a Bono, che provvide ad appianare gli ostacoli civili e
religiosi che vietavano la sepoltura.
Nel 1819 troviamo Giovanni Costantino
Corda-Lostia uomo di prestigio che visse il clima rovente descritto..
Lo troviamo al centro di contrasti di una certa
gravità, notaio che copriva la carica di Comandante miliziano o Commissario di
campagna ai tempi del Viceré di Sardegna il Conte Ignazio Thaon De Revei
1818/19/20.
Il Sostituto del Prefetto di Bono Floris lo
prese. di mira e scrisse al Vicerè, fra l'altro, la lettera del 28-8-1819 contro
Giovanni Ccstantino Corda-Lostia di Illorai e Sulas e Filia di Bolotana: "Non
posso per ora dare all'E. V. altro riscontro sulle combinazioni prese per
conseguire l'arresto dei banditi di Bottida, se non che mi sono dovuto
trasferire al villaggio d'Illorai, al fine di notificare segretamente l'ordine
di V E. al Notaio Giovanni Costantino Corda-Lo-stia di esso villaggio, ed a
Billia Sulas e Giuseppe Filia di Bolotana.
Alla notificazione dell'ordine mi hanno addotto
mitle scuse per esonerarli da questo servizio, e ne ricorrevanò all'E. V., ma
bis6gna non ascoltarli, perché io son persuaso che possono prèstarlo, se
vogliono. Ho imposto loro la penale di scudi 200 oltre quella di carcere ad
arbitrio del Governo".
Il Sostituto del Prefetto Floris si affrettò a
comminare le pene che gli consentivano i suoi poteri ed a proporre sànziòni
pètùnti. Ci teneva ad apparire al Viceré come persona inoito ligia al dovè
re e
~llo stesso tempo voleva far valere la sua autorità. sui Comandanti Miliziani
che dovevano operare nel ~uo territorio e scaricare delle gravi responsabilità-
sugli inferjori verso i quali pare che nutrisse dell'acredine di diversa
natura. Il Viceré Thaon De Revei scrisse in proposito varie lettere che
dovrebbero trovarsi all'Archivio di Stato di TQrino dove vennero depositate nel
1969 dal Marchese. torinese Carlo 'Thaon De Revei. Il Viceré non ha infierito
sui Comandanti Miliziam e, forse considerando la faccenda una questione isolata
locale e circoscritta, lontana da Cagliari, non ha impedito che Comandanti
Milizianì, banditi, e Sostituto del Prefetto si beccassero tra loro come polli
manzoniani. Si è gingillato nello scrivere lettere di esortazioni e non ha
dimostrato di voler ostacolare molto quel " divide" famoso. D'altronde non era
impresa facile mettere accordo fra nemici inconciliabili.
Giovanni Costantino Corda ormai rispondeva
sempre più evasivamente alle urtanti. pretese dei suoi interlocutori e si
dilungava sempre più accoratamente nel reclamare dei diritti effettivi che le
autorità gli negavano da lunghissimi anni col metodo della legge del più forte.
Reclamava, fra l'altro, 40 scudi annui a lui dovuti per servizi al Regno e che
non percepiva dal lontano 1813.
Non pttèva dimenticare le somme o residui di
somme anticipate "alla Regia Truppa in Bono e in Macomer fin dall'anno 1814".
il Viceré Thaon De Revel per tutta risposta gli
imponeva burocraticamente i presunti doveri e, negandogli sempre i diritti, il
7 dicembre [819 indirizzò direttamente a Giovanni Costantino Corda 'la lettera
contenente i seguenti periodi: "per fan cadere nelle Forze li due che ancora
fuggono dei banditi di Bottida, sarà pur oppor
-tuno
che prenda le combinazioni e direzione del fungente le veci di Prefetto in Bono
Avv.to Floris, il quale possiede sul proposito dei dati particolari che potranno
essere molto giovevoli, trovando intanto ben opportuno che sia in intelligenza
col Comandante della' Stazione di Bona per -ciò che ha rapporto àlla direzione.
della Regia Truppa". -
Nella stessa lettera sono contenute le
esasperanti crude risposi alle giustissime rivendicazioni di Giovanni
Costantino: "per avar zi dovuti non meno per antecipate fatte alla Regia Truppa
in Bon e in Macomer fin dall'anno 1814 e per l'assegno di 40 scudi annt che Ella
non percevette dal 1813, devo accennano che non mi rc sta nessun arbitrio per
farglieli realizzate, in seguito alle prescrizioni portate dalle Carte Reali
emanate da 5. M. circa la sospensione del pagamento di tutti i recapiti
anteriori al 1818
In pratica le Carte Reali sospendevano
temporaneamente, forsi sine die, il saldo di tutti i debiti anteriori al 1818
che la Monarchi; doveva rimborsare ai propri cittadini. (Sembra una vera
rapina!)
Adducevano come scusante, un sistema di
sfruttamento materia le e morale.
per assicurare il vantaggio del servizio
corrente".
Con questo clima burrascoso dovevano
barcamenarsi, facendo salti mortali, i miseri cittadini.
Giovanni Costantino Corda-Lostia si trovava nel
vortice ma. non aveva nessuna intenzione di lasciarsi inghiottire dai. flutti o
di lasciarsi affogare. Il suo forte temperamento forgiato nell'inferno di quei
tempi, la agiatissima posizione economica, le sue condizioni sociali, la sua
intelligenza e l'alto livello culturale, il suo coraggio gli permettevano di
poter combattere quasi ad armi pari. Ha capito al volo la situazione: sulle sue
posizioni di comprensibile rifiuto si èdimostrato irremovibile. Era allergico a
ordini perentori del Floris, era irriconciliabile con i nemici e quindi anche
con Floris. I banditi limitavano il , raggio d'azione a certe zone, che non
sfioravano affettivamente Giovanni Costantino, e le stesse zone dovevano
liberarsene da sole e togliersi le castagne dal fuoco. Giovanni Costantino
pensava che se Floris voleva fare l'eroe di; fronte al Viceré e acquisire
benemerenze, doveva farlo personalmente sùl campo di
battaglia, non a tavolino, come sembra volesse fare, e a spese d'altri. A
Giovanni Costantino premeva che i banditi rispettassero i paesi che lui amava. I
banditi intelligenti rispettavano le regole, non tentavano di strafare, erano
riveriti, coerenti e "onesti, conoscendo certi galantuomini di adesso", dice
Enrico Costa in Giovanni Tolu.
Giovanni Costantino Corda-Lostia aveva un cuore
d'oro, salvava, fra l'altro, situazioni penose anche a persone sconosciute. Si
adoperava disinteressatamente per far riconciliare dei poveri diavoli che si
uccidevano per un porcetto o per un agnello e per inezie del genere. Ha offerto
persino gratuitamente terreni a compari nullatenenti che dovevano impiantare
qualche vigneto. Insomma, era disponibile per fare del bene appena gli si
presentava l'occasione. Ha scritto anche dei componimenti sacri.
Come Comandante Miliziano ne uscì
dignitosamente.
Il Conte Jgnàzio Thaon De Revel lasciò la
Sardegna nel 1820 e la. Prefettura di Bono, durata meno di quindici anni, venne
soppressa subito dopo.
Notizie
storiche sul Goceano tratte da “Il
Goceano”
di
A. Satta-Branca –P.Brandis –F. Giordo
Editrice
Sarda Fossataro – Cagliari 1971
Il
Goceano è delimitato da una dorsale montuosa che va dal monte Fraidorzu (m.
1004) alla punta Masienèra (m. 1157), sovrastante Bultei, e dal Monte Rasu
(m. 1259) che a sud-ovest si innesta nella catena del Marghine. -
Nella
remota antichità il Goceano faceva parte di quel centro dell'Isola presso che
inviolato nei secoli, sia per la natura impervia del suolo, sia per quella non
meno fiera dei suoi abitanti. Ha infatti scritto Diodoro Siculo che gli Iolei
vivevano intanati nelle loro montagne, che potrebbero anche identificarsi
con quelle del Goceano. Secondo Strabone erano in Sardegna quattro schiatte di
indigeni, e tutte vivevano di rapina e di ladronecci: gli abitanti della
regione montuosa del centro, Balari od Iliesi che fossero, erano certamente
fra i più rapaci.
Questi
primi abitanti dell'isola potevano forse discendere dagli etruschi di
Populonia, o da iberi, o da siculi; così almeno riteneva Tolomeo, od anche da
libi. Tuttavia siamo sempre nel campo delle ipotesi, e sembrerebbe invece più
probabile che i popoli o le tribù del centro della Sardegna fossero di varia
provenienza, formate e radunate per le esigenze della difesa contro gli
invasori. La Sardegna infatti godeva fama di terra ricca di frutti naturali,
cereali ed armenti, ed i popoli e le città adusate ai traffici marittimi vi
facevano certamente delle incursioni, quanto meno per approvvigionarvisi. Da
ciò la tendenza degli indigeni ad abbandonare le coste e le località vicine
al mare, ed a raccogliersi nei luoghi meglio difesi dalla natura: ciò che
veniva a creare spontaneamente una struttura tribale primitiva.
Strabone descrive queste tribù annidate nelle
più
selvaggie montagne: sono «abitatori tutti di spelonche: non seminano i
loro campi, o ciò fanno a malincuore ed i più diligenti vicini depredano». Alla
difesa offerta dalla natura del suolo si aggiungeva quella del clima
micidiale.
Da
una osservazione del Pais si potrebbe arguire che gli abitatori del Goceano e
del Marghine, al pari di quelli insediati nella conca di Torralba, meglio di
ogni altro abbiano resistito agli invasori. Lo storico delle antiche civiltà
rileva che i nuraghi che si ritrovano in quelle località sono fra i più
grandi, belli e perfetti; dal che l'ipotesi che i territori anzidetti non
siano stati mai occupati dai cartaginesi, i quali, come è noto, intra-presero
il disarmo dell'isola con la demolizione delle fortezze nuragiche ed imposero
la trasformazione delle culture, con la distruzione delle foreste, che
servivano la pastorizia, rendendo invece obbligatorie le culture cerealicole.
Un
costume di vita che consentiva il soggiorno nei luoghi più inaccessibili e
ricchi di difese naturali costituì sempre un ostacolo agli invasori o
comunque agli occupanti. Perfino i piemontesi del secolo XVIII si trovarono a
dovere affrontare
il
problema, ed i viceré sabaudi tentarono, senza riuscirvi, di
controllare i pastori vaganti e ribelli.
Tutto
il territorio ricco di naturali difese e praticamente inaccessibile fu
designato dai dominatori del periodo storico, e cioè dai cartaginesi e dai
romani, col nome generico di Barbaria. Anche nella geografia di Tolomeo non
troviamo indicazioni più precise sulle popolazioni delle montagne centrali,
che forse consistevano tuttora nelle spelunche ricordate da Strabone.
Tolomeo
ha però ricordato una città dal nome Lesa, della quale si hanno traccie in
territorio di Anela, ed altresì le «Aquae Lesitanae», che potrebbero essere
le odierne acque termali di Benetutti. E' altresì possibile che nel periodo
romano sia stata tracciata una via pubblica lungo la vallata del Tirso, (da
Karalis ad Olbia) e cioè ai piedi del massiccio montagnoso del Goceano.
Si
tratta sempre di ipotesi incerte e prive di precisi riferimenti storici o
topografici.
I
secoli precedenti sono infatti del tutto oscuri anche per quanto possa
riferirsi ad altre parti dell'isola più accessibili ai contatti col mare, e
cioè con la civiltà. Storicamente risulta, dalle lettere di 5. Gregorio
Magno, che alla fine del secolo VI il cristianesimo non era per altro
penetrato nelle regioni centrali
abitate
dai discendenti degli antichi iliesi, tuttora idolatri. Ed anche se altrove vi
furono Giudici anteriormente al Mille, come vorrebbe il Vico, è certo che il
loro potere non potè estendersi a quei territori che anche i Bizantini, non
meno che gli invasori Vandali e Goti, non erano riusciti a controllare.
La
storia del Goceano come unità etnologica deve perciò necessariamente
assumere come punto di partenza il periodo giudicale, che ha inizio col secolo
XI, con l'apparire cioè sulla scena della storia dei primi Giudici turritani
(Gonario I o Dorgodorio de Kerki, che avrebbero regnato prima di Barusone I,
che troviamo sul trono nel 1064). Il Goceano infatti faceva parte del
Giudicato del Logudoro e vi erano incluse le Curatorie di Anela e di Gociani:
questa seconda aveva per capoluogo la villa di Bortiocoro (presso Burgos
ed Esporlatu), in seguito distrutta.
Il
Giudicato del Logudoro si spingeva al sud col suo vasto territorio: i suoi
confini giungevano fino alle curatorie di Montiverro, con Pitinuri; del
Marghine, con un castello a Macomer; ad Ozan (Ottana) ed a Sarule. Arborea e
Logudoro confinavano:
anzi,
secondo il Fara (che dice di avere desunto la notizia da un codice di Santa
Maria di Cerigo) all'inizio del secolo XI avrebbero avuto, unico Giudice, un
Comita I de Lacon detto anche Gonario I.
Alcuni
storici affermano altresì che Arborea e Logudoro sarebbero rimasti uniti
anche sotto il successore di Comita, che il Fara chiama Dorgodorio Gunale.
Tuttavia si deve tener presente che nello stesso volger di anni si ebbero
Giudici di uguale nome a Cagliari e nella Gallura, così che ogni affermazione
al riguardo apparisce incerta se non arbitraria.
Ciò
che può aversi per certo è che già nei primi anni del secolo XII il Goceano
era considerato come una regione ricca e desiderabile (la ricchezza in quel
tempo consisteva in foreste ed armenti) ed il suo possesso era oggetto di
frequenti contese fra i Giudici logudoresi e arborensi, i quali, pur
appartenendo ad unica schiatta, non esitavano ad impugnare le armi l'uno
contro l'altro per accrescere i rispettivi territori.
Gonario
I (o Il ove si accetti la genealogia del Fara) fu regolo di Torres nel 1127,
reduce dall'esilio di Pisa ove aveva trascorso gli anni dell'adolescenza per
sfuggire ai suoi nemici
nel
Giudicato, che erano i sostenitori della potente famiglia de Athen.
Questi
ultimi resistevano ancora nel loro centro di Pozzo-maggiore quando Gonario potè
rientrare nel suo minuscolo regno con la protezione e l'assistenza delle galee
e degli armati pisani. Il novello Giudice diede subito mano alla edificazione
del castello di Burgos, detto anche castrum Gociani, che risultò una
delle fortezze più munite del medioevo sardo; destinata alla difesa contro i
nemici di Oristano, non meno che contro quelli di Puthu Maiore.
Questi,
gli Athen, furono sterminati appunto sotto le mura del castello di nuova
costruzione: probabilmente avevano tentato di portare a termine il loro
progetto di usurpazione del trono. Non è possibile stabilire allo stato
attuale se nello scontro del Goceano gli Athen fossero gli assalitori del
nuovo castello, ovvero si fossero in esso fortificati.
Gli
Athen appariscono nella storia del Giudicato di Torres già da quando vi
regnava Mariano I (1063-1085): venivano certamente dalla stirpe giudicale,
comune anche agli altri Giudicati, dei Lacon-Gunale. Un Gosantine Athen,
figlio di un Pietro, apparisce in una donazione del 1120. Verso la metà del
secolo
XI
aveva sposato Pretiosa de Lacon, forse sorella del regnante Mariano I, e
reggeva la Curatoria di Ficulinas (Florinas). Gosantine e Pretiosa ebbero
almeno quattro figli, Petru, Ithocor, Mariano e Susanna (o Giorgia). Gli Athen
erano indubbiamente, dopo quella dei Giudici, la famiglia più cospicua del
Logudoro. Avevano ricche proprietà, particolarmente nella diocesi di Sorres,
così da trovarsi in grado di fondare un monastero, dotandolo naturalmente di
terre, bestiame e servi. Fu questo il monastero camaldolese di San Nicola di
Trullas, in territorio di Pozzo-maggiore, che ci ha lasciato un prezioso Condaghe,
pubblicato dal Besta, nel quale sono registrati gli atti del monastero, a
partire dalla fondazione, avvenuta nel 1113. Fondatori furono Pietro de Atzen
con la moglie Padulesa, Ithocor de Atzen con la moglie Irene de Thori, Mariano
de Atzen, Niscoli de Carbia con la moglie Elena de Thori, Comita de Thori con
la moglie Vera de Atzen, Costantino, Ithocor, Pietro e Giorgia de Athen. La
donazione ebbe il consenso del giudice di Torres Costantino de Lacon e della
moglie Marcusa de Gunale.
Lo
Scano nella sua cronologia assegna a questo Giudice un periodo di regno dal
1120 al 1127, ma il suo nome apparisce già in documenti del 1082 e nel
ricordo della conquista delle Baleari, compiuta dai Pisani nel 1113.
Gli
Athen avevano perciò il loro piccolo regno nella Curatoria di Caputabbas,
della quale uno di loro era di regola Curatore, ma estendevano indubbiamente
la loro ingerenza ed
il
loro potere ad altri punti del Giudicato, specialmente nelle funzioni di
Curatore, di solito attribuite a membri della famiglia Giudicale.
Dal
Condaghe di San Nicolò di Trullas e dall'altro coevo di
S.
Maria di Bonarcado risultano i nomi di trentatrè membri della famiglia. Oltre
il n. 197, dedicato a «sos de Athen», vi troviamo con qualifica di curatore
Comita, Ithocor, Gosantine di Pietro, Petru, Arcatu, Gunnari. La vasta e
potente famiglia era perciò in condizione di aspirare alle maggiori cariche
ed anche al supremo potere.
L'occasione
apparve propizia quando, verso il 1127, venne a morte il Giudice Costantino,
lasciando dei figli in giovanissima età, fra i quali l'erede del trono
Gonario. Scoppiarono allora disordini nel Giudicato, forse anche per
sobillazione genovese:
gli
Athen aspirarono certamente alla reggenza o forse anche al regno. Il mezzo
migliore per arrivarvi era quello di togliere di vita il successore legittimo,
che fu perciò in serio pericolo.
Un
amico del padre, Ithocor Gambella, lo mise in salvo:
lo
condusse segretamente fra i mercanti pisani che abitavano a Portu Turris, e
questi lo fecero rifugiare nella loro città. Naturalmente la repubblica di
Pisa aveva interesse a guadagnarsi l'animo del giovane sovrano: forse nei
contrasti e nei disordini avvenuti alla morte di Costantino dobbiamo vedere
una delle solite manifestazioni della lotta d'influenza fra Genova e Pisa. Ed
infatti il giovane sovrano fu trasferito in quest'ultima città, ove gli venne
fatta sposare la figlia del suo ospite, Maria Embriaci, e non appena ebbe
compiuto 18 anni gli furono forniti mezzi militari (quattro galee) per il
ritorno in Sardegna e l'insediamento sul trono.
Gli
Athen erano in armi. Gonario si ridusse nel castello di Ardara, altra munitissima
arces, che sembra sia stato edificato, insieme con l'attigua basilica, da
Giorgia di Lacon, sorella del Giulice Comita (o Mariano) regnante fra il 1073
ed il 1082. Da
Ardara
il nuovo sovrano si preparò ad affrontare i nemici, intraprendendo la
costruzione di un'altra arces alle falde del Monte Rasu. Gli Athen
mossero all'attacco, forse con intenzione di impadronirsi della persona del
Giudice, ma parecchi di loro caddero sotto le mura del castello. Il giovane
Giudice, con i suoi fautori, passò quindi al contrattacco: sorprese la
famiglia nemica, o la maggior parte dei suoi membri superstiti, nella chiesa
di San Nicolò di Trullas (forse vi si erano rifugiati) e li passò per le
armi. Il Fara ha riferito l'impresa di Gonario in questo modo:
Hic
(Gunnarius Il) castrum montis Gociani condidit, et ecclesiarn S. Mariae de
Cerigo magnifice ornavit, atque los de Arzenis et Arendos suos inimicos
infensosque habuit, omnes obsidione cinxit et occidit, amicos vero et
necessarios suos permultis premiis donavit».
Infatti
(secondo il Vico) donò ad Ithocor Gambella una o più ville della contrada di
Romagna, che comprendeva Sennori, Sorso, Tanague ed Uruspe.
L'avvento
al trono di Gonario, diede a Pisa il sopravvento nel Logudoro, ma,
necessariamente, risvegliò l'ostilità di Genova. La repubblica ligure si
rivolse al giudice di Arborea Comita, che regnava nel 1131, e lo istigò alla
conquista del Logudoro. Le ostilità cessarono presto, per mediazione del
Pontefice Eugenio III e Gonario si dedicò tutto alla religione, forse per
espiare i trascorsi peccati (aveva sulla coscienza l'uccisione di tanti
congiunti) e si ritirò nel convento di Chiaravalle.
La
guerra fra giudici divampò nuovamente alla fine del secolo XII, Guglielmo di
Massa giudice di Cagliari e Costantino II di Torres invasero il giudicato di
Arborea, ove regnavano Pietro I de Serra ed il nipote Ugone di Bas. Questo
ultimo fuggì, Pietro venne fatto prigioniero. Intervenne pero
il
Pontefice Innocenzo III: ad Ugone fu restituita la libertà e metà del
giudicato.
Il
castello del Goceano venne in quell'occasione dato in pegno al giudice
cagliaritano (erano insorti contrasti fra Costantino e Guglielmo), ma poco
dopo Costantino, insorgendo contro i patti, se ne impossessò. Ciò gli
valse la scomunica del Pontefice, ma le ostilità continuarono ad imperversare
nel Goceano. Costantino si era rinchiuso nel castello
insieme
con la moglie, che era la catalana Prunisinda. La rocca cadde: il vincitore
Guglielmo si impadronì della moglie del giudice nemico, la violò e la tenne
prigioniera, insieme con altre giovani del Goceano. Costantino dovette
ricorrere alla mediazione pisana ed ottenne il riscatto delle prigioniere con
il pagamento di 25.000 bisanti. Secondo i patti i castelli del Goceano e di
Monteferro sarebbero stati dati in permanente custodia a due cittadini
Pisani, scelti dalla repubblica toscana che non perdeva occasione per
accrescere la sua influenza, acquistando il controllo di un luogo che
offriva indubbiamente grande interesse militare. Costantino morì poco dopo
e non poté prima riconciliarsi con la Chiesa, come aveva chiesto
all'arcivescovo turritano ed al vescovo di Sorres.
Secondo
il Libellus iudicum turritanorum egli aveva fatto mala meda con tra
sa santa ecclesia romana: sebbene nei sette anni di regno fosse stato
largo di donazioni alle chiese ed agli ordini religiosi.
Il
beato Giovanni Parenti governò l'Ordine dei Frati Minori dopo S. Francesco
e Pietro Cattani. Nel 1226 lasciò però la sede dell'Ordine per la Corsica e
la Sardegna, ove ben presto si ritirò nel Monte Rasu, avendo avuto in dono da
Adelasia un piccolo convento attiguo al Castello dove la infelice regina
doveva morire alcuni anni dopo.
Gli
storici del passato hanno voluto prolungare l'esistenza del giudicato di
Torres col breve regno di Enzo, il quale tuttavia, se non soltanto di nome,
regnò effettivamente per pochi mesi. Non era ancora caduto prigioniero dei
bolognesi quando l'annullamento del suo infelice matrimonio fu disposto da
papa Innocenzo IV ed Adelasia si trovò nuovamente in stato di vedovanza.
Il
papa si riprometteva di assicurare alla Santa Sede la devoluzione del
Giudicato; infatti è stato creato tardivamente un documento (Libellus
iudicum turritanorum) secondo il quale Adelasia, stando nel castello del
Goceano, si sarebbe dichiarata pentita del matrimonio fatto a suo piacere e
avrebbe inteso restituire «a sa Santa Ecclesia Romana» il regno di
Logudoro, che aveva avuto da papa Gregorio IX.
La
storia, o meglio la leggenda, ha attribuito ad Enzo, o ad un suo vicario, o a
Michele Zanche, che sarebbe divenuto amante o marito della vedova regina, la relegazione
di Adela
sia
nel Castello di Burgos. La Giudicessa aveva ricevuto il Giudicato dai suoi
diretti ascendenti, fino al giudice Mariano suo padre, che regnò dal 1218 al
l232, e non già dal papa Gregorio IX, che ebbe la tiara nel 1227, come
vorrebbe il tardivo Libellus. Probabilmente prese dimora verso il 1240
nel Goceano per motivi di sicurezza personale.
Vi
erano certamente persone interessate a toglierla dalla scena del mondo, e la
contrada del Goceano, e forse il castello di Ardara, era tutto ciò che alla
regina restava dell'avito Giudicato.
La
Gallura aveva perduto la caratteristica di regno indipendente fin dal tempo
del giudice Costantino di Lacon (verso
il
1146) o di Barisone di Lacon, figlio del precedente e marito di una Elena di
Lacon, che nel 1184 reggeva, in Arborea, la curatoria di Milis. Il Giudicato
era pervenuto ai Visconti verso
il
1203 o 1206, col matrimonio di una Elena di Gallura, probabilmente figlia
del precedente Barisone, che aveva sposato un Lamberto Visconti, contro la
volontà del pontefice Innocenzo III. Elena era premorta al marito, il quale
ancora nel 1223 reggeva il Giudicato come cosa propria, e lo aveva perciò
legato al figlio Ubaldo, che divenne marito di Adelasia, e che ebbe degli
altri Visconti come successori (Giovanni, 1238 -1275; Ugolino o Nino, 1275 -
1298). La Gallura si era così trovata, fin dagli inizi del secolo, sotto il
controllo di Pisa, della quale repubblica i Visconti erano fra i primati.
Sassari
a sua volta nel 1236 si era ribellata al Giudice ed aveva chiuso le porte
della città in faccia ad Ubaldo e ad Adelasia, dopo averne distrutto il
palazzo situato entro le mura cittadine. Il nascente Comune, o già nato,
aveva perfino imposto alla Giudicessa il riconoscimento della sua podestà
territoriale nella Fluminargia; mentre Alghero, Castel Genovese, le
curatorie di Caputabbas e dell'Anglona erano già perdute per il Giudicato
essendo nelle mani dei Doria e dei Malaspina; gli Spinola alla loro volta
erano insediati ad Osilo ed a Bosa. Altra parte di quanto restava del
Giudicato del Logudoro era forse nelle mani di Michele Zanche, che ne fu
signore, e non Giudice, fino a quando il genero non gliela tolse col pugnale.
Nello stesso periodo i Donoratico, Guglielmo di Capraia, legati imperiali e
pontifici, genovesi e pisani, si contendevano
con
le armi quanto ancora era rimasto disponibile o sembrava passibile di
conquista.
Già
dal tempo di Mariano II i Giudici d'Arborea avevano spiegato le loro brame su
quanto rimaneva del Giudicato di Logudoro, particolarmente sul Goceano.
Adelasia era scomparsa, forse nel 1255, quando Mariano TI, d'accordo con i
Pi-sani, invase il Logudoro, incorrendo nei fulmini del Pontefice Innocenzo
III; fra i suoi obbiettivi era la conquista del Goceano.
La
scomparsa del Giudicato di Cagliari era avvenuta nel 1257, con la morte di
Chiano di Massa e la capitolazione di Santa Igia, che solo per breve tempo
rimase nelle mani di Guglielmo Cepolla. Con la spartizione del regno
cagliaritano fra Guglielmo Capraia, Giovanni Visconti ed i Donoratico furono
instaurate anche nella Sardegna meridionale signorie continentali, pisane e
genovesi.
Il
Goceano, che costituiva un territorio di considerevole estensione, popolazione
e ricchezza, anche dopo il 1236 era rimasto, ormai unico dominio, alla
dinastia logudorese: forse per questo motivo la spossessata Adelasia lo scelse
come sua dimora. Ma sulla regione si appuntavano tuttora le brame della
potente ed ambiziosa dinastia vicina. L'Arborea, nonostante le frequenti
commistioni matrimoniali ed i pretendenti stranieri, aveva infatti mantenuto
nei suoi Giudici caratteristiche locali, cioè sarde. Nel momento della
dissoluzione degli altri tre Giudicati, quello di Arborea si era tuttavia
trovato in una situazione estremamente confusa: dopo la morte di Pietro I (de
Serra), che aveva regnato solo dal 1185 al 1192, si avevano disputato il
potere Barisone II (de Serra: 1215-1217), Ugone di Bas, Guglielmo di Massa, i
Giudici di Torres ed altri. Nel 1250 una parte del Giudicato era in potere del
pisano Guglielmo di Capraia, forse marito di una Lacon, associato tuttavia
ad un Mariano visconte di Bas, che in una lapide esistente nel Museo di
Sassari, è indicato come dominus Arboree. Con la discendenza dei Bas
il Giudicato riprese caratteristiche indigene ed in un certo senso autonome,
benché legato alla politica di Pisa. Da Mariano II (1265-1297) a Mariano IV
(1345-1375) che fu padre di Ugone III (1375-1383); ed alla
grande
Eleonora (1383 - 1403) ed a Beatrice, moglie di Almerigo visconte di Narbona,
si ebbe la diretta discendenza dei Bas.
Da
una relazione del legato pontificio Federico Visconti, arcivescovo di Pisa,
riportata dal Tola (C.D. I, 382, 2), si apprende che nella primavera del 1263
il Giudice d'Arborea (Mariano), accompagnato dall'arcivescovo di Oristano (Omodeo
II) e dai vescovi suoi suffraganei, assediava il castello del Goceano nel
Giudicato Turritano, con un grosso esercito, valutato in mille cavalieri e
altrettanti fanti. In quel torno i Gherardeschi attaccavano Sassari. Nel campo
opposto combattevano certamente i Doria e gli Spinola, difendendo gli acquisti
già fatti nel Logudoro. I vescovi suffraganei turritani (Domenico di Ploaghe,
Giovanni di Bisarcio, Mariano di Castro, Giovanni d'Ampurias, ed Arzocco
vicario del pievano di Sassari) con i maggiorenti del comune di Sassari (Bernardo
di Villena, Comita Corda, Comita Caseo Corda, Barisone Caseo, Nicola e
Arzocco de Nuula, Gantino Uthiti, Ugolino Romanai e Stefano de Rosa), nonché
alcuni boni homines del regno logudorese, riuniti in Sassari nell'lì
agosto 1269 nella casa del vescovo di Ploaghe, «avuto presente che non
solo il regno di Logudoro ma altresì tutta l'isola di Sardegna era caduta in
tanta desolazione come non mai, trovandosi priva di ogni forma di governo e di
reggimento reale, eleggevano re di Sardegna Filippo, figlio di Carlo d'Angiò,
salvi i diritti della Chiesa e l'assenso del pontefice.
Non
è da credere che questa scelta fosse veramente di libera elezione dei
sassaresi o dei sardi. In realtà il comune di Genova, con singolare
coincidenza di data, nel 12 agosto 1269, aveva stretto alleanza con Carlo d'Angiò,
del quale Filippo era secondogenito.
I
confusi avvenimenti che si ebbero in quel periodo non soltanto in Sardegna ma
anche nella stessa Pisa, fino alla battaglia della Meloria (11 maggio 1284) ed
alle sue conseguenze, non interessano il presente studio. Con la pace del 15
aprile 1288 furono regolati i rapporti in Sardegna fra Pisa e Genova, ed i
castelli di Goceano, Montiferro, Monteacuto ed Urbe furono finalmente
attribuiti al Giudice arborense con le relative terre, giudizi giurisdizionali
e fiscali, ecc. ……………..