Notizie
storiche sul Goceano tratte da “Il
Goceano”
di
A. Satta-Branca –P.Brandis –F. Giordo
Editrice
Sarda Fossataro – Cagliari 1971
Il
Goceano è delimitato da una dorsale montuosa che va dal monte Fraidorzu (m.
1004) alla punta Masienèra (m. 1157), sovrastante Bultei, e dal Monte Rasu
(m. 1259) che a sud-ovest si innesta nella catena del Marghine. -
Nella
remota antichità il Goceano faceva parte di quel centro dell'Isola presso che
inviolato nei secoli, sia per la natura impervia del suolo, sia per quella non
meno fiera dei suoi abitanti. Ha infatti scritto Diodoro Siculo che gli Iolei
vivevano intanati nelle loro montagne, che potrebbero anche identificarsi
con quelle del Goceano. Secondo Strabone erano in Sardegna quattro schiatte di
indigeni, e tutte vivevano di rapina e di ladronecci: gli abitanti della
regione montuosa del centro, Balari od Iliesi che fossero, erano certamente
fra i più rapaci.
Questi
primi abitanti dell'isola potevano forse discendere dagli etruschi di
Populonia, o da iberi, o da siculi; così almeno riteneva Tolomeo, od anche da
libi. Tuttavia siamo sempre nel campo delle ipotesi, e sembrerebbe invece più
probabile che i popoli o le tribù del centro della Sardegna fossero di varia
provenienza, formate e radunate per le esigenze della difesa contro gli
invasori. La Sardegna infatti godeva fama di terra ricca di frutti naturali,
cereali ed armenti, ed i popoli e le città adusate ai traffici marittimi vi
facevano certamente delle incursioni, quanto meno per approvvigionarvisi. Da
ciò la tendenza degli indigeni ad abbandonare le coste e le località vicine
al mare, ed a raccogliersi nei luoghi meglio difesi dalla natura: ciò che
veniva a creare spontaneamente una struttura tribale primitiva.
Strabone descrive queste tribù annidate nelle
più
selvaggie montagne: sono «abitatori tutti di spelonche: non seminano i
loro campi, o ciò fanno a malincuore ed i più diligenti vicini depredano». Alla
difesa offerta dalla natura del suolo si aggiungeva quella del clima
micidiale.
Da
una osservazione del Pais si potrebbe arguire che gli abitatori del Goceano e
del Marghine, al pari di quelli insediati nella conca di Torralba, meglio di
ogni altro abbiano resistito agli invasori. Lo storico delle antiche civiltà
rileva che i nuraghi che si ritrovano in quelle località sono fra i più
grandi, belli e perfetti; dal che l'ipotesi che i territori anzidetti non
siano stati mai occupati dai cartaginesi, i quali, come è noto, intra-presero
il disarmo dell'isola con la demolizione delle fortezze nuragiche ed imposero
la trasformazione delle culture, con la distruzione delle foreste, che
servivano la pastorizia, rendendo invece obbligatorie le culture cerealicole.
Un
costume di vita che consentiva il soggiorno nei luoghi più inaccessibili e
ricchi di difese naturali costituì sempre un ostacolo agli invasori o
comunque agli occupanti. Perfino i piemontesi del secolo XVIII si trovarono a
dovere affrontare
il
problema, ed i viceré sabaudi tentarono, senza riuscirvi, di
controllare i pastori vaganti e ribelli.
Tutto
il territorio ricco di naturali difese e praticamente inaccessibile fu
designato dai dominatori del periodo storico, e cioè dai cartaginesi e dai
romani, col nome generico di Barbaria. Anche nella geografia di Tolomeo non
troviamo indicazioni più precise sulle popolazioni delle montagne centrali,
che forse consistevano tuttora nelle spelunche ricordate da Strabone.
Tolomeo
ha però ricordato una città dal nome Lesa, della quale si hanno traccie in
territorio di Anela, ed altresì le «Aquae Lesitanae», che potrebbero essere
le odierne acque termali di Benetutti. E' altresì possibile che nel periodo
romano sia stata tracciata una via pubblica lungo la vallata del Tirso, (da
Karalis ad Olbia) e cioè ai piedi del massiccio montagnoso del Goceano.
Si
tratta sempre di ipotesi incerte e prive di precisi riferimenti storici o
topografici.
I
secoli precedenti sono infatti del tutto oscuri anche per quanto possa
riferirsi ad altre parti dell'isola più accessibili ai contatti col mare, e
cioè con la civiltà. Storicamente risulta, dalle lettere di 5. Gregorio
Magno, che alla fine del secolo VI il cristianesimo non era per altro
penetrato nelle regioni centrali
abitate
dai discendenti degli antichi iliesi, tuttora idolatri. Ed anche se altrove vi
furono Giudici anteriormente al Mille, come vorrebbe il Vico, è certo che il
loro potere non potè estendersi a quei territori che anche i Bizantini, non
meno che gli invasori Vandali e Goti, non erano riusciti a controllare.
La
storia del Goceano come unità etnologica deve perciò necessariamente
assumere come punto di partenza il periodo giudicale, che ha inizio col secolo
XI, con l'apparire cioè sulla scena della storia dei primi Giudici turritani
(Gonario I o Dorgodorio de Kerki, che avrebbero regnato prima di Barusone I,
che troviamo sul trono nel 1064). Il Goceano infatti faceva parte del
Giudicato del Logudoro e vi erano incluse le Curatorie di Anela e di Gociani:
questa seconda aveva per capoluogo la villa di Bortiocoro (presso Burgos
ed Esporlatu), in seguito distrutta.
Il
Giudicato del Logudoro si spingeva al sud col suo vasto territorio: i suoi
confini giungevano fino alle curatorie di Montiverro, con Pitinuri; del
Marghine, con un castello a Macomer; ad Ozan (Ottana) ed a Sarule. Arborea e
Logudoro confinavano:
anzi,
secondo il Fara (che dice di avere desunto la notizia da un codice di Santa
Maria di Cerigo) all'inizio del secolo XI avrebbero avuto, unico Giudice, un
Comita I de Lacon detto anche Gonario I.
Alcuni
storici affermano altresì che Arborea e Logudoro sarebbero rimasti uniti
anche sotto il successore di Comita, che il Fara chiama Dorgodorio Gunale.
Tuttavia si deve tener presente che nello stesso volger di anni si ebbero
Giudici di uguale nome a Cagliari e nella Gallura, così che ogni affermazione
al riguardo apparisce incerta se non arbitraria.
Ciò
che può aversi per certo è che già nei primi anni del secolo XII il Goceano
era considerato come una regione ricca e desiderabile (la ricchezza in quel
tempo consisteva in foreste ed armenti) ed il suo possesso era oggetto di
frequenti contese fra i Giudici logudoresi e arborensi, i quali, pur
appartenendo ad unica schiatta, non esitavano ad impugnare le armi l'uno
contro l'altro per accrescere i rispettivi territori.
Gonario
I (o Il ove si accetti la genealogia del Fara) fu regolo di Torres nel 1127,
reduce dall'esilio di Pisa ove aveva trascorso gli anni dell'adolescenza per
sfuggire ai suoi nemici
nel
Giudicato, che erano i sostenitori della potente famiglia de Athen.
Questi
ultimi resistevano ancora nel loro centro di Pozzo-maggiore quando Gonario potè
rientrare nel suo minuscolo regno con la protezione e l'assistenza delle galee
e degli armati pisani. Il novello Giudice diede subito mano alla edificazione
del castello di Burgos, detto anche castrum Gociani, che risultò una
delle fortezze più munite del medioevo sardo; destinata alla difesa contro i
nemici di Oristano, non meno che contro quelli di Puthu Maiore.
Questi,
gli Athen, furono sterminati appunto sotto le mura del castello di nuova
costruzione: probabilmente avevano tentato di portare a termine il loro
progetto di usurpazione del trono. Non è possibile stabilire allo stato
attuale se nello scontro del Goceano gli Athen fossero gli assalitori del
nuovo castello, ovvero si fossero in esso fortificati.
Gli
Athen appariscono nella storia del Giudicato di Torres già da quando vi
regnava Mariano I (1063-1085): venivano certamente dalla stirpe giudicale,
comune anche agli altri Giudicati, dei Lacon-Gunale. Un Gosantine Athen,
figlio di un Pietro, apparisce in una donazione del 1120. Verso la metà del
secolo
XI
aveva sposato Pretiosa de Lacon, forse sorella del regnante Mariano I, e
reggeva la Curatoria di Ficulinas (Florinas). Gosantine e Pretiosa ebbero
almeno quattro figli, Petru, Ithocor, Mariano e Susanna (o Giorgia). Gli Athen
erano indubbiamente, dopo quella dei Giudici, la famiglia più cospicua del
Logudoro. Avevano ricche proprietà, particolarmente nella diocesi di Sorres,
così da trovarsi in grado di fondare un monastero, dotandolo naturalmente di
terre, bestiame e servi. Fu questo il monastero camaldolese di San Nicola di
Trullas, in territorio di Pozzo-maggiore, che ci ha lasciato un prezioso Condaghe,
pubblicato dal Besta, nel quale sono registrati gli atti del monastero, a
partire dalla fondazione, avvenuta nel 1113. Fondatori furono Pietro de Atzen
con la moglie Padulesa, Ithocor de Atzen con la moglie Irene de Thori, Mariano
de Atzen, Niscoli de Carbia con la moglie Elena de Thori, Comita de Thori con
la moglie Vera de Atzen, Costantino, Ithocor, Pietro e Giorgia de Athen. La
donazione ebbe il consenso del giudice di Torres Costantino de Lacon e della
moglie Marcusa de Gunale.
Lo
Scano nella sua cronologia assegna a questo Giudice un periodo di regno dal
1120 al 1127, ma il suo nome apparisce già in documenti del 1082 e nel
ricordo della conquista delle Baleari, compiuta dai Pisani nel 1113.
Gli
Athen avevano perciò il loro piccolo regno nella Curatoria di Caputabbas,
della quale uno di loro era di regola Curatore, ma estendevano indubbiamente
la loro ingerenza ed
il
loro potere ad altri punti del Giudicato, specialmente nelle funzioni di
Curatore, di solito attribuite a membri della famiglia Giudicale.
Dal
Condaghe di San Nicolò di Trullas e dall'altro coevo di
S.
Maria di Bonarcado risultano i nomi di trentatrè membri della famiglia. Oltre
il n. 197, dedicato a «sos de Athen», vi troviamo con qualifica di curatore
Comita, Ithocor, Gosantine di Pietro, Petru, Arcatu, Gunnari. La vasta e
potente famiglia era perciò in condizione di aspirare alle maggiori cariche
ed anche al supremo potere.
L'occasione
apparve propizia quando, verso il 1127, venne a morte il Giudice Costantino,
lasciando dei figli in giovanissima età, fra i quali l'erede del trono
Gonario. Scoppiarono allora disordini nel Giudicato, forse anche per
sobillazione genovese:
gli
Athen aspirarono certamente alla reggenza o forse anche al regno. Il mezzo
migliore per arrivarvi era quello di togliere di vita il successore legittimo,
che fu perciò in serio pericolo.
Un
amico del padre, Ithocor Gambella, lo mise in salvo:
lo
condusse segretamente fra i mercanti pisani che abitavano a Portu Turris, e
questi lo fecero rifugiare nella loro città. Naturalmente la repubblica di
Pisa aveva interesse a guadagnarsi l'animo del giovane sovrano: forse nei
contrasti e nei disordini avvenuti alla morte di Costantino dobbiamo vedere
una delle solite manifestazioni della lotta d'influenza fra Genova e Pisa. Ed
infatti il giovane sovrano fu trasferito in quest'ultima città, ove gli venne
fatta sposare la figlia del suo ospite, Maria Embriaci, e non appena ebbe
compiuto 18 anni gli furono forniti mezzi militari (quattro galee) per il
ritorno in Sardegna e l'insediamento sul trono.
Gli
Athen erano in armi. Gonario si ridusse nel castello di Ardara, altra munitissima
arces, che sembra sia stato edificato, insieme con l'attigua basilica, da
Giorgia di Lacon, sorella del Giulice Comita (o Mariano) regnante fra il 1073
ed il 1082. Da
Ardara
il nuovo sovrano si preparò ad affrontare i nemici, intraprendendo la
costruzione di un'altra arces alle falde del Monte Rasu. Gli Athen
mossero all'attacco, forse con intenzione di impadronirsi della persona del
Giudice, ma parecchi di loro caddero sotto le mura del castello. Il giovane
Giudice, con i suoi fautori, passò quindi al contrattacco: sorprese la
famiglia nemica, o la maggior parte dei suoi membri superstiti, nella chiesa
di San Nicolò di Trullas (forse vi si erano rifugiati) e li passò per le
armi. Il Fara ha riferito l'impresa di Gonario in questo modo:
Hic
(Gunnarius Il) castrum montis Gociani condidit, et ecclesiarn S. Mariae de
Cerigo magnifice ornavit, atque los de Arzenis et Arendos suos inimicos
infensosque habuit, omnes obsidione cinxit et occidit, amicos vero et
necessarios suos permultis premiis donavit».
Infatti
(secondo il Vico) donò ad Ithocor Gambella una o più ville della contrada di
Romagna, che comprendeva Sennori, Sorso, Tanague ed Uruspe.
L'avvento
al trono di Gonario, diede a Pisa il sopravvento nel Logudoro, ma,
necessariamente, risvegliò l'ostilità di Genova. La repubblica ligure si
rivolse al giudice di Arborea Comita, che regnava nel 1131, e lo istigò alla
conquista del Logudoro. Le ostilità cessarono presto, per mediazione del
Pontefice Eugenio III e Gonario si dedicò tutto alla religione, forse per
espiare i trascorsi peccati (aveva sulla coscienza l'uccisione di tanti
congiunti) e si ritirò nel convento di Chiaravalle.
La
guerra fra giudici divampò nuovamente alla fine del secolo XII, Guglielmo di
Massa giudice di Cagliari e Costantino II di Torres invasero il giudicato di
Arborea, ove regnavano Pietro I de Serra ed il nipote Ugone di Bas. Questo
ultimo fuggì, Pietro venne fatto prigioniero. Intervenne pero
il
Pontefice Innocenzo III: ad Ugone fu restituita la libertà e metà del
giudicato.
Il
castello del Goceano venne in quell'occasione dato in pegno al giudice
cagliaritano (erano insorti contrasti fra Costantino e Guglielmo), ma poco
dopo Costantino, insorgendo contro i patti, se ne impossessò. Ciò gli
valse la scomunica del Pontefice, ma le ostilità continuarono ad imperversare
nel Goceano. Costantino si era rinchiuso nel castello
insieme
con la moglie, che era la catalana Prunisinda. La rocca cadde: il vincitore
Guglielmo si impadronì della moglie del giudice nemico, la violò e la tenne
prigioniera, insieme con altre giovani del Goceano. Costantino dovette
ricorrere alla mediazione pisana ed ottenne il riscatto delle prigioniere con
il pagamento di 25.000 bisanti. Secondo i patti i castelli del Goceano e di
Monteferro sarebbero stati dati in permanente custodia a due cittadini
Pisani, scelti dalla repubblica toscana che non perdeva occasione per
accrescere la sua influenza, acquistando il controllo di un luogo che
offriva indubbiamente grande interesse militare. Costantino morì poco dopo
e non poté prima riconciliarsi con la Chiesa, come aveva chiesto
all'arcivescovo turritano ed al vescovo di Sorres.
Secondo
il Libellus iudicum turritanorum egli aveva fatto mala meda con tra
sa santa ecclesia romana: sebbene nei sette anni di regno fosse stato
largo di donazioni alle chiese ed agli ordini religiosi.
Il
beato Giovanni Parenti governò l'Ordine dei Frati Minori dopo S. Francesco
e Pietro Cattani. Nel 1226 lasciò però la sede dell'Ordine per la Corsica e
la Sardegna, ove ben presto si ritirò nel Monte Rasu, avendo avuto in dono da
Adelasia un piccolo convento attiguo al Castello dove la infelice regina
doveva morire alcuni anni dopo.
Gli
storici del passato hanno voluto prolungare l'esistenza del giudicato di
Torres col breve regno di Enzo, il quale tuttavia, se non soltanto di nome,
regnò effettivamente per pochi mesi. Non era ancora caduto prigioniero dei
bolognesi quando l'annullamento del suo infelice matrimonio fu disposto da
papa Innocenzo IV ed Adelasia si trovò nuovamente in stato di vedovanza.
Il
papa si riprometteva di assicurare alla Santa Sede la devoluzione del
Giudicato; infatti è stato creato tardivamente un documento (Libellus
iudicum turritanorum) secondo il quale Adelasia, stando nel castello del
Goceano, si sarebbe dichiarata pentita del matrimonio fatto a suo piacere e
avrebbe inteso restituire «a sa Santa Ecclesia Romana» il regno di
Logudoro, che aveva avuto da papa Gregorio IX.
La
storia, o meglio la leggenda, ha attribuito ad Enzo, o ad un suo vicario, o a
Michele Zanche, che sarebbe divenuto amante o marito della vedova regina, la relegazione
di Adela
sia
nel Castello di Burgos. La Giudicessa aveva ricevuto il Giudicato dai suoi
diretti ascendenti, fino al giudice Mariano suo padre, che regnò dal 1218 al
l232, e non già dal papa Gregorio IX, che ebbe la tiara nel 1227, come
vorrebbe il tardivo Libellus. Probabilmente prese dimora verso il 1240
nel Goceano per motivi di sicurezza personale.
Vi
erano certamente persone interessate a toglierla dalla scena del mondo, e la
contrada del Goceano, e forse il castello di Ardara, era tutto ciò che alla
regina restava dell'avito Giudicato.
La
Gallura aveva perduto la caratteristica di regno indipendente fin dal tempo
del giudice Costantino di Lacon (verso
il
1146) o di Barisone di Lacon, figlio del precedente e marito di una Elena di
Lacon, che nel 1184 reggeva, in Arborea, la curatoria di Milis. Il Giudicato
era pervenuto ai Visconti verso
il
1203 o 1206, col matrimonio di una Elena di Gallura, probabilmente figlia
del precedente Barisone, che aveva sposato un Lamberto Visconti, contro la
volontà del pontefice Innocenzo III. Elena era premorta al marito, il quale
ancora nel 1223 reggeva il Giudicato come cosa propria, e lo aveva perciò
legato al figlio Ubaldo, che divenne marito di Adelasia, e che ebbe degli
altri Visconti come successori (Giovanni, 1238 -1275; Ugolino o Nino, 1275 -
1298). La Gallura si era così trovata, fin dagli inizi del secolo, sotto il
controllo di Pisa, della quale repubblica i Visconti erano fra i primati.
Sassari
a sua volta nel 1236 si era ribellata al Giudice ed aveva chiuso le porte
della città in faccia ad Ubaldo e ad Adelasia, dopo averne distrutto il
palazzo situato entro le mura cittadine. Il nascente Comune, o già nato,
aveva perfino imposto alla Giudicessa il riconoscimento della sua podestà
territoriale nella Fluminargia; mentre Alghero, Castel Genovese, le
curatorie di Caputabbas e dell'Anglona erano già perdute per il Giudicato
essendo nelle mani dei Doria e dei Malaspina; gli Spinola alla loro volta
erano insediati ad Osilo ed a Bosa. Altra parte di quanto restava del
Giudicato del Logudoro era forse nelle mani di Michele Zanche, che ne fu
signore, e non Giudice, fino a quando il genero non gliela tolse col pugnale.
Nello stesso periodo i Donoratico, Guglielmo di Capraia, legati imperiali e
pontifici, genovesi e pisani, si contendevano
con
le armi quanto ancora era rimasto disponibile o sembrava passibile di
conquista.
Già
dal tempo di Mariano II i Giudici d'Arborea avevano spiegato le loro brame su
quanto rimaneva del Giudicato di Logudoro, particolarmente sul Goceano.
Adelasia era scomparsa, forse nel 1255, quando Mariano TI, d'accordo con i
Pi-sani, invase il Logudoro, incorrendo nei fulmini del Pontefice Innocenzo
III; fra i suoi obbiettivi era la conquista del Goceano.
La
scomparsa del Giudicato di Cagliari era avvenuta nel 1257, con la morte di
Chiano di Massa e la capitolazione di Santa Igia, che solo per breve tempo
rimase nelle mani di Guglielmo Cepolla. Con la spartizione del regno
cagliaritano fra Guglielmo Capraia, Giovanni Visconti ed i Donoratico furono
instaurate anche nella Sardegna meridionale signorie continentali, pisane e
genovesi.
Il
Goceano, che costituiva un territorio di considerevole estensione, popolazione
e ricchezza, anche dopo il 1236 era rimasto, ormai unico dominio, alla
dinastia logudorese: forse per questo motivo la spossessata Adelasia lo scelse
come sua dimora. Ma sulla regione si appuntavano tuttora le brame della
potente ed ambiziosa dinastia vicina. L'Arborea, nonostante le frequenti
commistioni matrimoniali ed i pretendenti stranieri, aveva infatti mantenuto
nei suoi Giudici caratteristiche locali, cioè sarde. Nel momento della
dissoluzione degli altri tre Giudicati, quello di Arborea si era tuttavia
trovato in una situazione estremamente confusa: dopo la morte di Pietro I (de
Serra), che aveva regnato solo dal 1185 al 1192, si avevano disputato il
potere Barisone II (de Serra: 1215-1217), Ugone di Bas, Guglielmo di Massa, i
Giudici di Torres ed altri. Nel 1250 una parte del Giudicato era in potere del
pisano Guglielmo di Capraia, forse marito di una Lacon, associato tuttavia
ad un Mariano visconte di Bas, che in una lapide esistente nel Museo di
Sassari, è indicato come dominus Arboree. Con la discendenza dei Bas
il Giudicato riprese caratteristiche indigene ed in un certo senso autonome,
benché legato alla politica di Pisa. Da Mariano II (1265-1297) a Mariano IV
(1345-1375) che fu padre di Ugone III (1375-1383); ed alla
grande
Eleonora (1383 - 1403) ed a Beatrice, moglie di Almerigo visconte di Narbona,
si ebbe la diretta discendenza dei Bas.
Da
una relazione del legato pontificio Federico Visconti, arcivescovo di Pisa,
riportata dal Tola (C.D. I, 382, 2), si apprende che nella primavera del 1263
il Giudice d'Arborea (Mariano), accompagnato dall'arcivescovo di Oristano (Omodeo
II) e dai vescovi suoi suffraganei, assediava il castello del Goceano nel
Giudicato Turritano, con un grosso esercito, valutato in mille cavalieri e
altrettanti fanti. In quel torno i Gherardeschi attaccavano Sassari. Nel campo
opposto combattevano certamente i Doria e gli Spinola, difendendo gli acquisti
già fatti nel Logudoro. I vescovi suffraganei turritani (Domenico di Ploaghe,
Giovanni di Bisarcio, Mariano di Castro, Giovanni d'Ampurias, ed Arzocco
vicario del pievano di Sassari) con i maggiorenti del comune di Sassari (Bernardo
di Villena, Comita Corda, Comita Caseo Corda, Barisone Caseo, Nicola e
Arzocco de Nuula, Gantino Uthiti, Ugolino Romanai e Stefano de Rosa), nonché
alcuni boni homines del regno logudorese, riuniti in Sassari nell'lì
agosto 1269 nella casa del vescovo di Ploaghe, «avuto presente che non
solo il regno di Logudoro ma altresì tutta l'isola di Sardegna era caduta in
tanta desolazione come non mai, trovandosi priva di ogni forma di governo e di
reggimento reale, eleggevano re di Sardegna Filippo, figlio di Carlo d'Angiò,
salvi i diritti della Chiesa e l'assenso del pontefice.
Non
è da credere che questa scelta fosse veramente di libera elezione dei
sassaresi o dei sardi. In realtà il comune di Genova, con singolare
coincidenza di data, nel 12 agosto 1269, aveva stretto alleanza con Carlo d'Angiò,
del quale Filippo era secondogenito.
I
confusi avvenimenti che si ebbero in quel periodo non soltanto in Sardegna ma
anche nella stessa Pisa, fino alla battaglia della Meloria (11 maggio 1284) ed
alle sue conseguenze, non interessano il presente studio. Con la pace del 15
aprile 1288 furono regolati i rapporti in Sardegna fra Pisa e Genova, ed i
castelli di Goceano, Montiferro, Monteacuto ed Urbe furono finalmente
attribuiti al Giudice arborense con le relative terre, giudizi giurisdizionali
e fiscali, ecc. ……………..